Regole per una città circolare

Quando una città è circolare?

In occasione dell’evento Hacking the City, organizzato lo scorso aprile, abbiamo avuto il piacere di avere con noi la Professoressa e Prorettrice agli Affari Giuridici dell’Università di Pisa, Michela Passalacqua, che ha spiegato quali regole seguire per poter creare una città circolare.


La professoressa ha iniziato il suo intervento spiegando che la città come la conosciamo noi, è opposta in realtà alla circolarità. Perché?


Le città per potersi sviluppare ed esistere, devono consumare il suolo e, invece, la città diventa circolare quando è in grado di contenere questo consumo. Il tema del consumo del suolo è molto importante per la sostenibilità, perché il suolo, in origine concepito come una risorsa nascosta che non vediamo e che è essenziale, rende dei servizi fondamentali per la nostra esistenza, cioè i servizi ecosistemici. Quindi, più ci sviluppiamo nelle città con l’edificato e con le nostre attività produttive, più consumiamo questo suolo e fruiamo dei suoi servizi ecosistemici e quanto più sarà difficile ripristinarli. Infatti, i processi di naturalizzazione non restituiscono mai il suolo con le caratteristiche originarie.


Città circolari: normative

L’Unione Europea è molto attenta al tema dell’economia circolare, della sostenibilità e della riduzione del consumo di suolo, ma nonostante ciò, non si è riusciti ad approvare una direttiva in materia dell’ultimo. C’è stata molta discussione a riguardo, ma il progetto si è arenato per gli interessi economici che sono sottesi all’utilizzo del suolo, perché sia la vita nelle città, quindi l’edilizia residenziale, sia le attività produttive, necessitano di consumare il suolo per poter esistere. Purtroppo, perciò, a livello europeo non si è riusciti ad approvare una direttiva quadro che tutti gli Stati membri debbano rispettare.


In Italia, le regioni sono attivissime nel fare leggi che promuovano la rigenerazione del suolo ed urbana, e addirittura dal 2013, il legislatore nazionale se ne sta occupando ed è in discussione in Parlamento un disegno di legge in materia. Il contenimento dell’uso del suolo viene concepito non più in una visione riduzionistica di tipo edilizio, di diminuire cioè il costruito, ma collegandosi più in generale al tema della sostenibilità, si è arrivati ad una reimpostazione del tema del contenimento dell’uso del suolo più complesso. Lo si associa, infatti, ad un mutamento del paradigma dello sviluppo economico, cioè l’idea di riutilizzare il suolo già consumato, ma passando ad un’economia circolare, prevedendo dei riusi, che non reinnestino, posticipando soltanto in avanti, quelle dinamiche di degrado che già si sono realizzate su quel suolo.


Questo vuol dire saper essere in qualche modo futuristi, cioè saper progettare un riuso che sappia imitare la natura e sappia garantire una rigenerazione di quei beni che sono già stati fruiti.


Il ruolo degli architetti

Guardando agli ideatori del modello di progettazione dei processi produttivi che sono in grado di rigenerarsi, si fa riferimento a due architetti del ‘900, a testimonianza del fatto che il tema della rigenerazione, del riuso e quindi della circolarità e di saper rigenerare l’immobile già fruito, affonda le sue radici proprio nella scienza urbanistica. Il primo è John Lyle, un architetto paesaggista americano che apre la strada alla progettazione rigenerativa negli anni ‘70, finalizzata all’uso delle risorse locali rinnovabili e l’altro, Walter Stahel, un architetto svizzero che ha intuito il passaggio ad una progettazione che fosse sostenibile smettendo di concentrarsi sull’incremento della domanda di materie prime e di accumulo dei rifiuti, cioè l’idea di progettare degli usi del suolo e del territorio costantemente protesi a non produrre delle esternalità.


Economia circolare e beni immobili

In quest’ottica di economia circolare, come qualificare i beni immobili quando sono già fruiti, che spesso vengono abbandonati e dove magari i servizi ecosistemici non sono più resi come in origine? Se si tratta di terre non contaminate, allora non le si può equiparare a dei rifiuti perché anche se il proprietario decidesse di non usarle più, il non esercizio della facoltà di godimento pacificamente non determina l’estinzione del diritto di proprietà. Quando si può quindi applicare una logica circolare a questi fondi non contaminati? Quando si considerano non come uno scarto, ma come una risorsa da riutilizzare.


Dall’altro lato, invece, quando si ha a che fare con delle terre contaminate, che spesso sono nelle nostre città o comunque nel territorio urbanizzato, queste, anche se le direttive europee non lo prevedono, si possono, secondo la professoressa, concettualmente assimilare a dei rifiuti.


Le direttive europee non equiparano le terre contaminate a un rifiuto perché le direttive sui rifiuti si occupano soltanto dei beni mobili. I beni immobili invece, sono molto legati al tema della sovranità ed il diritto europeo non entra nell’esercizio sovrano del potere degli Stati membri e non vuole dettare regole in materia di questi. Dal punto di vista concettuale, però, siccome l’UE obbliga la bonifica dei siti contaminati nel momento in cui si abbandona un immobile, allora a quel punto la manifestazione del proprietario possessore dell’intenzione di disfarsi di quel bene emerge perché obbligato alla bonifica che è molto costosa.


Suoli contaminati e rigenerazione

Equiparare quindi i suoli contaminati ai rifiuti vuol dire ripensare i suoli contaminati nell’ottica della rigenerazione e della circolarità, innestandoli all’interno dell’economia circolare, così come viene in qualche modo disciplinata dal diritto europeo. Questo al momento però, non disciplina i suoli contaminati nell’ambito del secondo pacchetto delle direttive circolari, si può dire che questi possono diventare un settore elettivo per l’economia circolare, proprio come il cibo e i rifiuti. È fondamentale, ha continuato la professoressa, un intervento pubblico perché questo si possa realizzare e non è pensabile lasciare completamente ai privati questo tipo di compito.


Rigenerare i suoli contaminati che non equiparo ai rifiuti quando questi sono nella città, e quindi nel terreno urbanizzato, è un interesse di tutti. Perché? Perché se non si rigenerano, non si prova neanche a reintrodurli in quel processo circolare di imitazione della natura e di riconduzione all’uso e diminuzione del degrado, diventando sicuramente dei fattori di segregazione, discriminazione e di inquinamento ambientale.


Innovazione tecnologica e sociale

La rigenerazione dei suoli richiede perciò un’innovazione sia tecnologica, perché servono delle tecniche specifiche per poterli rigenerare, che sociale, perché come tutte le leggi regionali e la normativa nazionale evidenziano, per rigenerare occorre il coinvolgimento della comunità. Tutte le leggi regionali, in Italia, in materia di rigenerazione, infatti, prevedono una consultazione preventiva della comunità presente in quei suoli e che può farsi portatrice del contributo per indicare quello che può essere il riuso circolare e sostenibile di questi. In questo senso, la rigenerazione si potrebbe assimilare alla resilienza, poiché porta innovazione e non si tratta di ripristinare ciò che era, ma si tratta di trovare soluzioni nel superare gli elementi negativi dell’uso e nel ritrovare un nuovo uso, un’innovazione che diventa conoscenza maggiore di quei luoghi e reinnesto in un processo di valore di quei luoghi.


Impatti della rigenerazione

Per rigenerazione si intende un insieme complesso e coordinato di interventi edilizi ed urbanistici che hanno effetto sulla qualità urbana che si riferisce alla vivibilità dei luoghi da parte dei residenti, ma anche un effetto sul sistema economico e sociale. La rigenerazione non è più infatti confinata a impattare sulla diversità sociale o sul degrado sociale di un certo territorio, ma al contrario c’è la consapevolezza che si tratta di un intervento integrato, non soltanto edilizio, urbanistico, ma anche sul sistema economico, perché soltanto se non vi è degrado economico si può avere un riuso che non crei nuovo degrado anche sul sistema sociale.


In particolare, la rigenerazione, le leggi regionali e i disegni di legge statale in materia, la associano al contenimento dell’uso del suolo e all’innalzamento delle prestazioni ecosistemiche di quel territorio sotto forma di riduzione del consumo di acqua e di energia in un’ottica di sostenibilità. Anche da questo punto di vista riemerge la collettività, basti pensare alle comunità energetiche, all’idea del consumatore che grazie all’innovazione diventa anche produttore di energia rinnovabile che nella città il prosumer, consuma, produce, scambia alla pari energia, magari con il vicino di casa arrivando ad una rigenerazione urbana che fa della circolarità il suo paradigma, senza dimenticare il tema del ripristino dei servizi ecosistemici.


Governance e ruolo pubblico

La governance di questa innovazione non deve essere lasciata completamente all’industria privata, un rischio che potrebbe essere sotteso all’economia circolare, e che significherebbe una sorta di privatizzazione della sostenibilità proprio per l’importanza e la delicatezza degli interessi in gioco. È fondamentale invece il ruolo dell’attore pubblico e del pubblico potere.


Le leggi regionali dicono ancora molto poco in realtà sui servizi ecosistemici, ma la professoressa si è detta molto critica sull’idea che si possa risolvere il problema dell’utilizzo di questi servizi, semplicemente monetizzando. In molti disegni di legge, li si attribuiva infatti un valore economico, poiché il suolo, quando è allo stato naturale non antropizzato, filtra e purifica l’acqua, rifornisce le falde, immagazzina gas serra, riserva risorse genetiche, garantisce la biodiversità e così via. Questo compromette tutti i servizi che il suolo realizza quando viene consumato. Si sta cercando oggi in questo disegno di legge di introdurre il concetto di pareggio di bilancio dei servizi ecosistemici. Un pareggio di bilancio dovrebbe non essere tanto dipendente dalla monetizzazione, cioè dalla valutazione economica dei servizi ecosistemici, ma dalla loro valutazione sociale. L’idea perciò è che ogni volta che si consuma del suolo si devono pareggiare i servizi ecosistemici ripristinando altrove quelli compromessi.


Conclusione

La professoressa ha concluso decretando importante il fatto che finalmente il nostro Parlamento si stia occupando di quello che sta sotto l’edificato e di quanto il nostro modello di sviluppo, se non saprà preservare i servizi ecosistemici e capire il forte legame che sussiste tra la vita dell’uomo e il suolo, difficilmente potrà coniugarsi al tema della sostenibilità e garantire una città circolare.


Per saperne di più potete guardare il video dell’intervento qui sotto.


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Francesco Castellano

Francesco Castellano ha conseguito un Master in Business Administration, e ha maturato un'esperienza quasi ventennale nel campo della ricerca, della finanza, della consulenza e del business management. In questo periodo è stato impegnato in diversi tipi di progetti come consulente presso Bain & Company, ha lanciato le attività di Uber a Torino e ha lavorato nel dipartimento FP&A di General E... Continua a leggere

Francesco Castellano ha conseguito un Master in Business Administration, e ha maturato un'esperienza quasi ventennale nel campo della ricerca, della finanza, della consulenza e del business management. In questo periodo è stato impegnato in diversi tipi di progetti come consulente presso Bain & Company, ha lanciato le attività di Uber a Torino e ha lavorato nel dipartimento FP&A di General Electric.

Recentemente ha fondato Tondo, un gruppo di organizzazioni che si occupa di diffondere approcci e concetti di Economia Circolare, e di supportare le aziende nella transizione verso un futuro sostenibile e circolare. Francesco è anche l'ideatore e il coordinatore del Re-think Circular Economy Forum, un format di eventi organizzati in diverse città italiane per presentare le più importanti soluzioni di Economia Circolare.

Francesco è stato ospite di diverse università ed eventi, come l'Università Federico II, l'Università Bocconi, la LIUC - Università Cattaneo, l'Università di Pavia, l'Università di Padova, l'Università Cattolica, la IPE Business School, la 24ORE Business School, Campus Party, Torino Stratosferica, Visionary Days.

Francesco è appassionato di Economia Circolare, Innovazioni Cleantech, Venture Building e Imprenditorialità.