Nell’ultima edizione milanese di Re-Think, Paola De Bernardi, la professoressa di Circular Economy Management all’Università di Torino, ha raccontato i grandi paradossi e limiti del sistema agroalimentare, suggerendo poi possibili soluzioni operative.
Si può considerare il sistema agroalimentare come un ecosistema composto da una molteplicità di attori e da una multi-dimensionalità di realtà economiche che si intersecano. In letteratura si parla sempre più di “food ecosystem”, in cui le risorse naturali, le catene del valore e i relativi stakeholders, abilitati dalle tecnologie digitali, si intrecciano in sistemi complessi e dinamicamente in evoluzione.
Secondo la professoressa De Bernardi, il concetto “business as usual” non è più un’opzione per il nostro sistema agroalimentare. Le aziende agroalimentari sentono molto forte la pressione esercitata dalle istituzioni, dal mercato (che orienta le proprie scelte di investimento escludendo attività non sostenibili), e anche dai consumatori sempre più attenti a scelte di consumo consapevole. Il capitalismo e i modelli economici che finora hanno creato crescita e ricchezza, oggi si trovano in un punto critico da alcuni denominato punto di non ritorno, che impone un profondo ripensamento negli assunti di base e nei meccanismi di funzionamento.
Qual è la soluzione a questo? In realtà non c’è una risposta predefinita, ma inizia a esserci un movimento: quello del capitalismo rigenerativo. Questo sistema, da alcuni considerato un ossimoro, è un modello in cui il business non è un’aggiunta alla natura, ma è intrinsecamente incastonato in essa. Per il settore agroalimentare, questo è fondamentale affinché la vita possa prosperare in modo resiliente e rinnovarsi all’infinito. In questo contesto, De Bernardi spiega che l’economia circolare è una pietra miliare sul cammino del capitalismo rigenerativo. Il sistema agroalimentare oggi si può considerare circolare solo all’8,6 percento: il che significa che più del 90 percento di quello che si estrae, che si produce, che si trasforma, non torna in circolo e viene sprecato. Il rischio per le aziende è una competizione che diventa sempre più polarizzata, che vedrà emergere aziende avanzate e sensibili che si avvicinano alle nuove richieste del consumatore producendo prodotti sostenibili e circolari, rispetto a quelle che saranno più lente in questo cammino, che richiede molti investimenti e molti costi.
Paola De Bernardi ha proseguito il suo discorso spiegando che ci troviamo in uno scenario in cui la domanda globale di cibo continuerà ad aumentare (si stima un aumento di popolazione a 10 miliardi nel 2050 con l’esigenza di aumentare la produzione di cibo del 40-50%), impattando significativamente sulle emissioni di gas serra e sul rischio di cambiamento climatico. A quel punto non sarà più sufficiente aumentare la produttività e l’efficienza del sistema: sarà necessario un cambio di passo.
In questo ambito, il sistema agro alimentare ha delle criticità. La prima è quella dello spreco: l’ultimo report del Food Waste Index ha messo in evidenza come 931 milioni di tonnellate di cibo perfettamente edibile siano state buttate nel 2019. Questo paradosso, riassume De Bernardi, ci dice che o si muore di fame o si muore di obesità. Il secondo grande limite è la disponibilità di risorse, dato che stiamo consumando più risorse di quelle che abbiamo disponibili. Come esempio, la professoressa ha portato quello dell’overshoot day, cioè il giorno nel quale abbiamo già consumato tutte le risorse disponibili del nostro pianeta per l’anno in corso, vivendo quindi in debito per il tempo restante. Terzo limite per il sistema agroalimentare è il cambiamento climatico: questo sistema infatti vince in termini di contributo alle emissioni antropiche di gas-serra, e a livello mondiale ed europeo. Un terzo delle emissioni proviene dal settore agroalimentare, ma la maggior parte è concentrata sui sistemi di allevamento. Il quarto limite presentato da Paola De Bernardi è quello dei rischi globali: rischi sistemici fortemente interconnessi gli uni con gli altri. Un esempio è la situazione pandemica, che porta con sé recessione, con tassi di inflazione che crescono, i prezzi che si fanno sempre più alti per qualsiasi bene, cambiamento climatico…
Ci troviamo in una situazione in cui le aziende devono avere consapevolezza dei rischi e dei costi legati ai modelli di business che stanno adottando, per cambiare non soltanto approcci culturali, ma approcci gestionali, organizzativi e manageriali. Paola De Bernardi ha illustrato diversi approcci da applicare all’interno dell’azienda per attuare questo cambiamento. Il processo di transizione a un’economia agroalimentare circolare implica cambiare la cultura del cibo, nei vari processi con i quali il prodotto agroalimentare dalla terra arriva al consumatore. Il coinvolgimento dell’intera filiera del food system è chiaramente esplicitato nelle recenti strategie europee “farm to fork” e “green deal”, di cui il “circular action plan” è uno dei principali pilastri. Tali politiche mettono in evidenza l’esigenza di un cambiamento nei comportamenti di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo del cibo che deve avvenire collettivamente, con una governance congiunta a livello locale, nazionale e internazionale. Questo deve avvenire attraverso l’adozione un mix di misure (formazione, incentivi fiscali, certificazioni e misure di circolarità, finanziamenti agevolati, ecc.) che abbiano un impatto sulla resilienza e sostenibilità dei sistemi agroalimentari.
Quali sono i principi di fondo di una strategia circolare? • Produrre cibo in modo rigenerativo • Azzerare sprechi e perdite di cibo lungo le catene del valore • Valorizzare in modo produttivo risorse, energie e sprechi alimentari, generando nuovo valore con upcycled food e linee produttive innovative.
In questo contesto, le aziende della filiera del cibo assumono un ruolo centrale nei processi di transizione verso la “food circularity”, innovando i propri modelli di business e generando nuove opportunità di mercato.
Come abilitare l’innovazione dei modelli di business circolari? Attraverso quattro leve del cambiamento delle catene del valore: • Lo sviluppo di una cultura della circolarità del cibo – che non significa solo combattere il “food loss and waste” • L’utilizzo delle tecnologie digitali quale fattore abilitante • Lo sviluppo di innovazione di mercato, dove i consumatori assumano un ruolo centrale e attivo nella realizzazione di nuovi prodotti e servizi • La realizzazione di un efficace impianto normativo e regolatorio, ma anche di incentivi a supporto delle aziende nella generazione di ecosistemi agroalimentari resilienti e circolari.
In conclusione, De Bernardi ha indicato ambiti e strategie in cui applicare l’economia circolare. Ad esempio, la “rigenerative agriculture”, che consente ai terreni di tornare ad essere fertili e di essere maneggiati con delle tecniche diverse rispetto all’agricoltura intensiva. O ancora, l’accorciamento delle distanze tra produttore e consumatore, quindi short supply chains: chiudere e accorciare la relazione produttore-consumatore valorizzando le comunità locali, con l’utilizzo, il più possibile, di tecnologie digitali. L’aspetto centrale è valorizzazione delle risorse scarse riportandole in circolo e degli sprechi. Se si pensa alle nonne, alle bisnonne, o alle economie familiari di un tempo, nulla andava sprecato; è necessario tornare a quel tipo di mentalità.
Emma Salioni
Laureata in Gestione dei contenuti digitali per i media, le imprese e i patrimoni culturali, Emma Salioni si interessa da sempre di sostenibilità ed economia circolare. Dopo un periodo passato a lavorare in Olanda, ha iniziato a collaborare con Tondo gestendo comunicazione e i social media, oltre che supportando l'organizzazione di hackathon ed eventi.